Trattato delle metheore

Title

Trattato delle metheore

Description

8°. *8, A-L8; ff. [8], pp. 166, ff. [5]. Roman. mm. 105×158.

Publisher

Date

1573

Contributor

Type

Prose

Identifier

Date Submitted

22/09/2012

Spatial Coverage

Edition ID

162

Genre

Copy seen

London, BL, 531.e.34

Title page

TRATTATO / DELLE METHEORE / DI M. FRANCESCO / de' Vieri Fiorentino, / Cognominato il Verino Secondo. / [typographer's mark with motto 'et potest et vult'] / IN FIORENZA. / Appresso Giorgio Marescotti. 1573 / Con priuilegio.

Paratextual elements

1. epistle to Francesco I Medici, Grand Duke of Florence, ff. *2r-*3r;
2. preface to the readers, ff. *3v-[*7]r;
3. index of chapters, f. L4r-v;
4. alphabetical index of subjects, ff. [L5]r-[L6]v;
5. table of errors, f. [L7]r-v;
6. printing licence, f. [L7]v.

Internal description

<*2r-*3r> AL SERENISSIMO / GRAN PRENCIPE / DI TOSCANA / IL SIGNOR DON / FRANCESCO / MEDICI. <inc> La dottrina delle Metheore, serenissimo gran prencipe, a giudizio d'ogn'uno che prenda piacere delle virtù et del sapere, è tra le più dilettevoli di tutta la filosofia, per trattarsi in essa con molta facilità di tanti et tanti effetti di Natura, che giornalmente si fanno, et inoltre, è delle
più honorate [...] <expl> Degnisi dunque di ricevere questo mio trattato con gratissimo animo: dove io ho raccolta tutta quella parte della Metheora più dilettevole, et più desiderata da ciascuno, che è d'animo veramente gentile, et grande: holla messa in questa nostra lingua, acciocché Vostra
Serenissima Altezza, con più facilità et poi ciascun altro gentile spirito, la possa leggendo ancora, così presto presto intendere benissimo. Nostro Signore Dio nella sua divina grazia la mantenga et in questo stato felicissima et fortunatissima: come meritano le tante et tante virtù di lei, et massimamente la prudenza, la iustizia, et la pietà, virtù non meno segnalatissime et proprissime della serenissima casa di quella, che sommamente utili, et necessarie ne governi publici et di grandissima importanza. Di Vostra Serenissima Altezza l'humilissimo servo Francesco di Gio. Bat. Vieri detto il Verino Secondo.

<*3v-[*7]r> Al giudizioso et discreto lettore. <inc> L'intentione mia è, nobilissimo et giudiziosissimo lettore, di trattare di tutti quelli effetti naturali i quali da' filosofi greci comunemente son chiamati metheorologici: o perché eglino si generino et si produchino da Dio et dalla Natura in alto, et non come noi, i bruti et le piante quaggiù a basso; o perché i loro principii materiali, che sono il vapore et l'esalazione, di loro natura son atti a andare su alto. La cagione che mi muove a scrivere di così fatte cose è perché ogni sorte di persone desidera haverne qualche notizia [...] Il modo che io terrò in ragionare scienziatamente di tutte queste cose non meno dilettevoli et honorate; che utili et giovevoli sarà questo, che io con brevità ne discorrerò acciocché nessuno dalla lunghezza infastidito, prima resti di legger questa opera, che egli ne venga alla fine, così sarò facile, sì nelle parole, sì ancora lassando stare i dubbii più difficili; perché la difficultà o delle parole o delle cose non isbigottisca alcuno; finalmente perché ogn'uno presti fede a questa dottrina come vera et sicura, io seguirò Aristotele maestro di coloro che sanno, et i suoi migliori interpreti, come furono tutti i greci, et tra li ara-
bi il gran comentatore Averroys, et tra i latini San Thomaso d'Aquino, la cui dottrina è breve, facile et tanto sicura, che non mai a bastanza è stato fino a qui da tutti i più eccellenti filosofi o theologi celebrato. Emmi piaciuto parlare di queste cose, non meno in questa nostra lingua toscana, o per dir meglio fiorentina, che io mi faccia ancora nella latina: per giovare et dilettare insieme ognuno, come ne comanda non meno la Santa et Christiana legge, che la naturale et la civile. E se alcuno più pronto a riprendermi che a cavare di questo mio libro qualche frutto dica, o che io mi sia valuto troppo d'Aristotele et de' suoi migliori espositori, o che io contro all'uso di questi nostri tempi non habbia né in questa, né nella latina lingua parlato elegantemente, li rispondo quanto al primo errore che io come Filosofo tratto di queste cose, non in particolare, ma in universale, et in questa maniera, sendo gli universali sempre i medesimi quanto alla loro natura, et quanto agli accidenti, non se ne può veramente fa-
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re se non i medesimi concetti, in oltre Aristotele molte cose piglia da Platone, come io altrove intendo di dimostrare, et da Aristotele Alessandro Aphrodisiense, che è il primo de' suoi greci interpetri [sic] et da lui apprendono tutti quei belli concetti Giovan Gramatico, Olimpiodoro, Simplicio et gli altri, et da questi cava tutto il buono Averroè; et da lui poi i latini, come sa chi con gran diligenza et dal principio alla fine gl'ha studiati, et gli studia tutto il giorno, io dunque ho volsuto imitando tanto degni scrittori, per lo più valermi di loro, et seguire più presto la verità, che partendomi con nuovi capricci da lei, et da costoro; come hanno fatto alcuni desiderosi di parere dotti, et ingegnosi che d'essere veramente, farmi sofistico contro al vero. Quanto al secondo similmente dico che nel filosofo non è errore alcuno se egli di cose così belle da per loro non discorra con belle parole, poi che questo appartiene più tosto all'oratore et al poeta, che trattano di cose molto più basse et molto più fa-
[*6]r
cili senza comparazione et a persone per lo più idiote, et che si muovono più dalle parole che da' fatti: dove il filosofo ha alle mani cose alte et difficili et ne tratta con persone non meno di gran giudicio che nobilissime, et così che assai son mosse et infiammate ad apprenderle dalla bellezza et nobiltà loro, senza aggiugnervi il liscio delle parole. Oltre che mentre quel poco di tempo che habbiamo a studiare tante et tante belle cose, et non meno difficili che maravigliose, se lo consumiamo dietro alle parole, restiamo piante con molte foglie et fiori, ma senza frutti, o pochi; come ancora tutto il giorno ne mostra l'esperienza et volesse Dio che solamente di questo male fosse cagione il tanto tempo che si consuma dietro all'eleganza delle lingue da' professori di filosofia et di theologia, et non di infiniti altri et molto maggiori, i quali io potrei qui a ognuno fare palese, se il luogo il ricercasse, et se io non temesse che questi eleganti non mi tenessero per huomo che fosse loro più tosto inimico che amatore di di
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re il vero; oltre che la Fenice della Mirandola et l'esperienza mostrano quanto non solamente non si convenga, ma sia disdicevole et dannoso al filosofo tanta eleganza come in segreto entiandio confessono molti di questi filosofi eleganti, et lo tacciono in palese più per tema di non si fare nimici i poeti et gli oratori, huomini che molto vagliono nel lodare et biasimare altrui, che perché essi scoprendo il vero habbiano invidia a i posteri i quali saputo questo impedimento et liberatisene, potevano molto più oltre arrivare, et con più diligenza alla cognizione et scienza di tante et tante belle cose, che in tutto l'universo si contengono, come hanno fatto al tempo del mio avolo M. Francesco de Vieri detto il Verino primo egli; il Pomponatio; M. Lodovico Bocca di ferro, M. Simone Portio, uno de' miei più eccellenti filosofi, et tanti et tanti altri grandi huomini et nella filosofia, et nella medicina, et nelle leggi, et nella theologia. Ma diamo horamai principio a dir di questi effetti Metheorologici, et ognuno
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creda dell'eloquenza nel filosofo, et ne professori dell'arti, et delle leggi quello che più li pare a suo pro, o a suo danno, et a me basti havere detto il vero alquanto liberamente, mosso più presto dal publico bene, che ritenuto dal proprio interesse del proprio honore, argumento certissimo a ciascuno della mia buona volontà in giovare ad ogni huomo. Sta sano, discretissimo lettore, et serviti di questa mia dottrina, quale ella si sia, per alzarti con la mente a Dio, fine di tutte le creature etpiù eccellentemente delli Angioli et nostro, per tua quiete et contentezza, et per giovare altrui, et se tu più presto mi loderai che biasimerai, darai animo alli altri di comporre opere molto più dotte, et più belle che questa, et io tanto più te ne sarò obligato, quanto meno mi si conviene lode alcuna, perciò che molto più sono grate le cose che si ricevono da altri per mera liberalità, che quelle, che si ricevono per obligo o per debito.

<1-166> TRATTATO / DELLE METHEORE / DI M. FRANCESCO / de' Vieri Fiorentino / Cognominato il Verino Secondo. / DE' PRINCIPI, DA' QVALI / depende tutta questa dottrina, et onde / nascono tutti questi effetti. / Cap. I. <inc> Poiché la scienza delle cose nasce nelle menti nostre, dalla cognizione de' loro principii, o vero cagioni, fa di mestiero, che dalla notizia di queste si dia principio. Et per imitare, non solamente Aristotele, ma ancora i Mathematici, la dottrina de' quali è più esquisita et certa, che di qual si voglia scienziato et dotto nel ragionare di così fatti principii, procederò per via di supposizioni, seguendo in ciò similmente et lui et loro. <expl> Quello che finalmente è da avvertire è che delle pietre et de metalli se n'è parlato generalmente quanto alle loro cagioni materiali, et efficienti; quanto poi alle trasmutazioni et passioni ancora comuni, non solamente a questi misti perfetti senza anima, ma ancora alle piante, a' bruti, et a noi; se ne ragiona nel Quarto delle Metheore da Aristotele, et più particolarmente da Teofrasto, et da Alberto Magno et da Plinio, et da molti de' moderni scrittori. / IL FINE.

<L4r-v> TAVOLA DELLE MATERIE, / Capitolo per Capitolo di questo / Trattato.

<[L5]r-[L6]v> TAVOLA DELLE MATERIE, / che si contengono più particolarmente / in questo trattato.

Branch of philosophy

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08/03/2013

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Eugenio Refini

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Eugenio Refini, ‘Trattato delle metheore’, in Vernacular Aristotelianism in Renaissance Italy Database (VARIDB)
  <https://vari.warwick.ac.uk/items/show/4609> [accessed 27 July 2024]